giovedì 24 febbraio 2011

Bimbi da spiaggia, donne robot e stupidi animatori: una storia vera

Quando uno si mette a pensare all'infanzia ci sono delle cose che, inevitabilmente, gli vengono in mente per prime. Che siano le muffole a forma di paperotto, le fragranti torte della mamma o il plaid spelacchiato profumato di nutella, c'è sempre un ricordo che svetta più vivido degli altri.
Al contrario, quanti dettagli si possono dimenticare? Il colore degli occhi della nonna, quant'era morbido il pelo del cane, la luce che si vedeva al tramonto dal tetto, le decorazioni dell'albero di Natale...
Quante memorie possono sbiadire piano piano, affondare fra le sinapsi, e ripresentarsi con un bell'inchino anche anni e anni dopo?

Ieri mi è saltata in testa una storiella - una vera e propria concatenazione di eventi, credo si dica così - a cui non pensavo da un sacco di tempo. Circa sei anni per la precisione.
E visto che ora come ora mi sento nello stato d'animo di chi ha voglia di condividere gli affaracci suoi, la scrivo.

Fatto uno
L'estate del 2004, mi pare, una spensierata e innocente Tia ottenne trascorse una settimana di vacanza a Djerba (Tunisia), l'isola felice, insieme alla mamma e la migliore amica della mamma stessa.
Già il secondo giorno di vacanza, le due donne e mezzo fecero amicizia con una madre più figlio di Milano. Il bambino aveva undici anni e si chiamava Enrico.

Fatto due
Come accade sempre ai poveri bimbi in terra straniera, io ed Enrico venimmo reclutati da quelle sottospecie di istigatori al vandalismo dette "animatori" - il gruppo si chiamava Baby Club, uno schifo del genere, insomma. Prima azione vandalica: murales. Seconda azione vandalica: maschere al cerone urticante. Terza azione vandalica: spettacolino teatrale.

Fatto tre
Questo troiaio gradevole esempio di attività comunitaria consisteva in una serie di sketch a sfondo... boh, e l'esibizione era prevista per il nostro - di noi due donne e mezzo, s'intende - penultimo giorno di vacanza. Quel giorno lì, io ed Enrico venimmo mandati a sistemare gli attrezzi scenici (delle sedie).
Insomma, stavo armeggiando con una dannata sdraio di plastica bianca che non si decideva ad aprirsi quando Enrico, lì, si giro e mi disse:
Ti amo.
Vorrei ribadire che aveva undici anni. Io otto.

Intermezzo musicale 


Fatto quattro
La sera stessa, dopo l'esibizione, uno degli "animatori" fece una battuta spinta dal palco.
Il pubblico era composto per la maggior parte da bimbi suppergiù delle elementari.
Fatto sta che chiesi a mia madre cosa fosse una prostituta.
Lei mi rispose che era "una donna che vende il proprio corpo". Al che io mi immaginai una specie di robo-femmina, una donna robot, che si staccava le dita d'acciaio dal bordo della strada e le offriva per cinque euro l'una.
Genitori, siate chiari con i vostri figli.

Fatto cinque
Il giorno dopo Enrico e sua madre partirono alla volta della nebbiosa Milano.
Qualche tempo dopo mi mandarono una cartolina. Io risposi, ma quegli imbecilli delle poste - della serie, le cose andrebbero fatte da soli - me la rispedirono indietro. Non si sa perché.
Io gliela inviai di nuovo, ma non ho mai ricevuto risposta.

FINE

Tutto qui. Questo è stato uno dei miei primi traumi infantili. Mi ha lasciato un sacco di domande a cui quasi di certo non riuscirò mai a rispondere: perché esistono gli "animatori"? Perché esistono i Baby Club? Cosa intende un undicenne quando pronuncia le parole "ti amo"? Cosa intende un adulto quando pronuncia le parole "ti amo"? Le parole "ti amo" hanno davvero così tanti significati?

Nel caso Enrico capitasse su questo blog sperduto, me lo faccia sapere.


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