Sarà scritto in libri, poesie, sceneggiature teatrali; lo avrete sentito in film, videoclip e tragedie greche: se c’è qualcosa di certo, è che al mondo c’è gente molto strana. Per via di abbigliamento, strane abitudini alimentari o tic nervosi, camminando per la strada è improbabile non farsi impressionare almeno da un passante. Così nella vita. L’ennesimo ingresso di un originale nella mia, al solito, banale routine mi ha fatto ripensare agli altri trascorsi.
C’è questo A., conoscente prima di compagno di classe, al quale usiamo porre la seguente domanda: A., ma come cazzo ragioni? Uno che, durante la lezione, quando si sente rivolgere una domanda, estrae il libro, lo sfoglia, legge, lo chiude, alza la mano e dice: lo so io. Uno che, se gli chiedi un pezzetto di panino, è capacissimo di sputarci sopra e offrirtelo con un bel sorriso. Senza ironia. Uno che ti chiede di riti satanici e orge, uno che su Facebook ti scrive le porcate sulla bacheca e poi addossa la colpa a un immaginario cugino ottenne. Uno che dovrebbe avere quindici anni, e invece ne ha sette al massimo.
Poi un altro tizio, P., con cui ero insieme alla materna e da allora è sempre stato in classe con me, per undici anni, e ancora lo considero un perfetto estraneo – conosco meglio M. e L., viste per la prima volta cinque mesi fa.
Quest’altra scema, S., che una volta mi ha tirato un sacchetto della spazzatura (vuoto, grazie al cielo) in testa e, quando mi sono legittimamente incazzata, ha cominciato ad accampare delle scuse pazzesche per cui era stata tutta colpa mia e poi ha cominciato a dar fuori di matto quando sembrava che ci potevano essere conseguenze. Non ci sono state. Però alla fine la cretina ha cambiato scuola. Deo gratias.
Poi c’è la mia professoressa di italiano, una persona adorabile, secondo la quale i feti hanno le branchie e fra dieci anni al massimo avremo tutti due dita per piede, perché portiamo le scarpe. Oppure il professore di ginnastica, quello nuovo: appena entrato ci ha parlato amabilmente del ciclo per dieci minuti buoni a noi sei ragazze, di fronte ai nostri dieci compagni maschi. Ci ha detto di non volere favoritismi e poi ha letto l’elenco dei nostri nomi sul registro elargendo ammiccatine evidentissime a chi pareva a lui. Ci dice: voglio vedervi incazzati, su, tirate fuori le palle – non so nemmeno se si possa, in un Liceo Scientifico.
Poi la cuoca della mensa alle elementari, sempre senza calze in quelle ciabattine aperte. Inclinava sempre troppo il cucchiaio della minestra e un giorno mi ha quasi accecato con una mestolata di lasagne.
E poi le conoscenze passeggere, come quell’amico dei miei (mai più visto) pieno di tic: strizzare gli occhi, pulirsi compulsivamente le mani, toccarsi le orecchie, mordicchiarsi le labbra, grattarsi la nuca, strapparsi i peletti del sopracciglio, arricciarsi i ciuffi di capelli dietro le orecchie… e altre che ho dimenticato.
Una lontana parente incontrata alla cena per le nozze d’oro dei miei prozii: si presentò con un lussuoso abito di seta a fiori viola su fondo giallo. Una roba mostruosa, accecante. Spero di non incontrarla mai più, almeno con quel vestito. Potrei andare incontro a una crisi epilettica.
E ancora, quelli che nemmeno si fa in tempo a conoscere. La commessa ignorante del negozio di libri: ignorava l’esistenza del “Dizionario di Latino Castiglioni-Mariotti”, non sapeva come si scrive “Thomas Mann”. Quell’altra, del negozio di abbigliamento, ansiosa di vendermi le scarpebellissimecoltaccosuperallamoda numero 41 – io porto il 37.
E lei lo sapeva.
Di gente particolare è pieno il mondo. Di gente che sappia apprezzarla, un po’ meno.