sabato 30 aprile 2011

Nottata persa

Questo è un breve racconto che scrissi tempo fa. Non ho voglia di svilupparlo e non credo sia granché, dunque lo posto qui e chi s'è visto s'è visto.

***

- Non ci so’ più pesci, eh, Anto’?
- No, Michè, non ci sono.
Antonio guardò l’acqua tremula, affacciandosi dal pontile: ogni volta gli venivano in mente le squame sottili dei pesciolini grandi come dita che pescava da ragazzo, ma ormai l’unico riflesso argenteo rimasto era quello beffardo della luna.
- Svegliati, Anto’! Il lavoro è tanto, non c’è mica da perdersi dietro ai ricordi. Lo sai anche te, no? I ricordi ci fotteranno a tutti.
- Tieni ragione, Michè.
Si riscosse, s’avvicinò al compare intento ad aprire il bagagliaio dell’auto.
- Bella macchina -, disse. Ne apprezzò le cromature lucide passandoci sopra il dorso della mano.
- Ma… senti, Michè – riprese – Quando dici che il lavoro è tanto, che intendi? Peppino che t’ha detto?
L’altro gli fece segno di avvicinarsi. Indicò con il mento l’involto di plastica nera, poi cominciò.
- Allora, il grosso è fatto, ma il cemento gli va ancora fissato. Bisognerà aspettare una mezz’oretta ché l’ho comprato a presa rapida. Cioè, non è che l’ho comprato io, me l’ha portato Vannuzzo, bravo picciotto, mi ricordo che con suo padre si andava per i campi, da giovani…
Si stava perdendo, i ricordi avevano fottuto lui pure.
Antonio si fece coraggio e toccò la plastica con circospezione.
Non voleva svolgerla, ma immaginò che il morto se ne stesse buono buono con la testa sulla cassetta del cric, gli occhi chiusi e un bel buco in mezzo alla fronte.
- Chi era, il figlio di buona donna?
Michele s’interruppe.
- Era un notaio, il bastardo. Tonino Scarano, si chiamava pure come te! Era il titolare di quello studio che c’è a Santa Marina, c’hai presente? Uno schifo di persona, te lo giuro. Ma che ci voleva ad autenticare quel documento, eh, Anto’? Una firmetta, e tutto era a posto. Eh, troppo tardi ha imparato che non ci si deve mettere contro Don Giulio…
- Sempre così è – mormorò Antonio, scuotendo la testa.
- Era un montato, quello, si credeva d’essere un signore… era uno, com’è che si dice, snob?, sì, snob. Uno con la dannata puzza sotto il naso. E la sua famiglia non è meglio, sempre a non voler pagare il pizzo, i mentecatti! Ah! Ma che sarà mai, dico io, ma che sarà mai. Eh, Anto’, il sangue non mente, te lo dico io.
Ammiccò. L’amico non lo vide, se ne stette zitto, al buio.
L’altro si sentì in dovere di continuare.
- Con una professione come la sua… quanto darei io, per fare il notaio!
- Eh, Michè. Perché, questo un cattivo lavoro è?
- In genere no, però in affaracci come questo un po’ sì. Guarda in che sozzume ci tocca mettere le mani…
Tirarono giù il corpo e lo accomodarono su uno sgabello, accanto alla vaschetta e al cartone di cemento: a preparare la mistura ci volle poco, ma per infilarci le gambe del tipo dovettero tirargli su i pantaloni. Non doveva essere morto da molto; le gambe erano innaturalmente bianche e fredde, con le vene gonfie come vermi bluastri, ma non puzzava troppo.
Antonio rabbrividì, non c’aveva ancora fatto l’abitudine.
Aspettarono che il cemento si seccasse in silenzio.
Chissà a che pensavano.

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